In quel periodo la segregazione razziale era finalmente
superata in diversi stati africani ma sopravviveva in Sudafrica, dove l'ultimo
primo ministro Botha, eletto nel 1984, si opponeva a un dialogo con l'ANC
(partito di Mandela). Fu in questo periodo che, finalmente, il resto del mondo
prese posizione contro il regime attuando pressioni mediatiche e sanzioni
economiche.
I telegiornali mandavano in onda le immagini delle sommosse di
Soweto ed io cominciavo a guardare oltre il mio piccolo mondo indignandomi per
ciò che vedevo. Una persona di mia conoscenza, tornato da un viaggio in
Sudafrica, mi raccontava di strade divise a metà, un marciapiede destinato ai
bianchi, e uno destinato ai neri, nel tempo leggendo e informandomi ho scoperto
le tante assurdità di questo regime. Pura follia... il divieto, pena la
reclusione, di formare coppie miste, genitori che lasciavano morire i propri
figli per non farli soccorrere da infermieri di colore, bambini bianchi che se
abbronzati non potevano sedere negli scompartimenti ferroviari dei bianchi fino
a quando non veniva appurato che erano davvero bianchi...
Lo sapete vero che il primo trapianto di cuore è stato fatto
in Sudafrica a Cape Town? Beh, pare che sia slittato perché il professor
Barnard aveva a disposizione solo un cuore di donatore nero!
Nel frattempo l'apartheid che inizialmente coinvolgeva tutti
i non bianchi, lentamente aveva aperto uno spiraglio alle etnie non nere e
qualcosa stava cambiando. Ma mentre lentamente cambiava per indiani, cinesi,
malesi etc... per la gente "nera" se possibile peggiorava!
Imparai chi era Nelson Mandela e mi appassionai alla sua
storia, nel 1990 leggo il primo libro su di lui "Nelson Mandela di Jean
Guiloineau".
Potete ben capire che per me visitare Robben island è più di
un’escursione, è quasi un pellegrinaggio.
Non potevo non andare, non potevo non vedere con i miei
occhi questo luogo frutto della cattiveria umana, della negazione ai diritti di
vivere che tutti hanno.
Ho comprato i biglietti con largo anticipo per essere sicura
di trovare posto, fine anno coincide con le vacanze estive dei sudafricani di
conseguenza i biglietti finiscono in fretta, il sito Webtickets è il modo più
semplice e comodo per acquistarli.
E' stato un piacere vedere in quanti vanno a visitare
l'isola, tantissima la gente di colore, meno numerosi i bianchi. Peccato, avrei
voluto vederne di più, ma ho saputo che organizzano visite scolastiche e questa
è una buona cosa per un paese che non deve dimenticare e deve imparare a vivere
nell’uguaglianza.
Il tour parte dal Nelson Mandela Gateway che si trova a
Waterfront esattamente vicino alla clock tower, si può scegliere fra catamarano
veloce o le barche originali che erano utilizzate per il trasporto dei
prigionieri, io ho scelto una di queste.
La traversata dura circa un’ora e il panorama di Cape Town
visto dal mare è spettacolare, a mano a mano che ci avviciniamo all'isola, la
mia testa ricorda tutto ciò che ha letto in merito ad apartheid, Mandela, isola
e immancabilmente mi prende tristezza.
All'arrivo al molo ci accoglie una guida un po' troppo
scherzosa per i miei gusti, io mi sento quasi in pellegrinaggio e trovo certe
battute fuori luogo, così mi siedo sul bus che ci porta a fare il giro
dell'isola carcere e guardo fuori del finestrino usando ciò che vedo per dar
vita nella mia mente a ciò che ho letto. Il giro dura circa quarantacinque
minuti e percorre tutto il campo passando davanti al cimitero, alla chiesa,
alle celle d'isolamento al campo di lavoro, si ferma per una sosta a un baretto
con panorama della baia... in lontananza la città, lo stop finale alle prigioni,
dove si scende e si viene presi in "consegna" da una nuova guida che
accompagna nella visita interna.
Questa è la parte più coinvolgente.
La nostra guida si chiama Itumeleng Makwela, è un ex detenuto
politico dell'isola, arrestato nel 1982 al confine fra Botswana e Sudafrica
perché attivista dell'ala militare dell’ANC; dopo essere stato torturato e
sottoposto a una finta esecuzione sulla sedia elettrica, resterà in questo
carcere dal 1983 al 1990.
E' lui che ci spiega come funzionava il carcere, le
differenze di trattamento fra le varie razze dove i neri e soprattutto gli
attivisti politici erano gli ultimi della scala. La prigione era divisa in
sezioni, i prigionieri dormivano in camerate direttamente sul pavimento, solo
dal 1980 vengono inserite delle brande tipo letti a castello.
Lui che ancora parla di Mandela con riverenza, definendolo
"il nostro leader" pur essendone stato compagno di prigionia per la
stessa causa, ci accompagna fra i vari edifici fino ad arrivare alla
tristemente famosa sezione B, di cui dice:
-questa è la sezione dei nostri leader, tutti i leader erano
considerati molto pericolosi, di conseguenza non era permesso a nessuno di
avvicinarsi a questa sezione, se ti avvicinavi, venivi punito.
Nella sezione B i detenuti non avevano camerate ma singole
celle è qui che si trova la cella dove Mandela ha passato diciotto anni della
sua vita.
Itumeleng Makwela parla poco di se, il racconto è di tutti,
regole, frammenti di vita quotidiana, conquiste, tutto ciò di cui parla è
espresso al plurale, solo una frase gli scappa al singolare, quando ci racconta
delle celle d’isolamento:
- Non è bello stare in isolamento perché si è soli in una
cella buia e non puoi parlare con nessuno, un solo pasto il giorno e pessimo.
Tornando subito al plurale:
- Alcuni prigionieri quando uscivano dall'isolamento erano
molto malati e la luce improvvisa dopo i lunghi periodi di buio poteva
accecarli.
Quanta rabbia mi sale mentre quest’uomo parla e mi vergogno
perché in lui rabbia e rancore non esistono o almeno non traspaiono, solo il
tono di voce più forte, più alto sottolinea alcuni frangenti, alcuni concetti.
Esattamente come ha insegnato il suo leader, ha fatto tesoro di ciò che ha
vissuto per trasmettere agli altri, per perdonare e provare a creare un Sudafrica
migliore.
Non vi racconterò di più perché Robben island, va vista, va
in qualche modo "vissuta”.
Cava lavori forzati dove lavorava Mandela
Fax simile schedario detenuti
Cava lavori forzati dove lavorava Mandela
Fax simile schedario detenuti
Mentre usciamo dalla sezione B, mi attardo nel corridoio
ormai vuoto.
Tutti gli altri già vanno verso il molo, siamo solo Andrea ed io, lui scatta le ultime foto mentre io commossa mi dirigo verso Itumeleng per stringergli la mano. Sono la solita frignona e con una lacrima che è di tristezza, ma anche di ammirazione gli chiedo di scrivermi il suo nome e le date della prigionia, Andrea ci raggiunge e lui ci chiede da dove veniamo.
Tutti gli altri già vanno verso il molo, siamo solo Andrea ed io, lui scatta le ultime foto mentre io commossa mi dirigo verso Itumeleng per stringergli la mano. Sono la solita frignona e con una lacrima che è di tristezza, ma anche di ammirazione gli chiedo di scrivermi il suo nome e le date della prigionia, Andrea ci raggiunge e lui ci chiede da dove veniamo.
Ringraziandolo gli diciamo che siamo italiani, onorati di averlo conosciuto e che, per quel poco che può valere, parlerò di lui sul mio blog.
Itumeleng Masekela
Itumeleng Masekela
Leggendo questo post mi son sentita stringere lo stomaco, come tutte le volte che leggo di Apartheid e della vita di Mandela. Mi è subito venuta in mente la scena di Invictus quando Pieenar entra nella cella di Mandela e allarga le braccia, occupando tutto lo spazio...una sensazione davvero terribile.
RispondiEliminaEcco, in effetti era esattamente quello che volevo scatenare. Una reazione forte! Peccato che su facebook ci siano stati dei commenti del tipo "che ci andate a fare", " è un escursione da evitare" e altre cose di questo tipo.
EliminaPeccato anche che questa sia storia, la nostra storia, quella della mia generazione e io non voglio più vedere una situazione tale.
Quindi ne parlo e se avrò modo ne parlerò ancora.
Grazie Michela per avere capito.